A diciassette anni decide sia giunto il momento di varcare l’Oceano. E’ nato e cresciuto in Venezuela, più esattamente a Caracas, la capitale dello stato caraibico. La famiglia Paletta si compone di quattro persone: Leonardo Josè, adesso calciatore dell’Orvietana, la sorella maggiore, Viviana, oggi catalana di Barcellona e i due genitori, Roberto e Maria Grazia Lotano. Il volo è diretto in Italia, patria dei nonni, obiettivo la realizzazione del sogno di tutta una vita: giocare al calcio e possibilmente affermarsi nel mondo del pallone. Leonardo è già avanti con gli studi. Stante ordinamenti scolastici differenti può iscriversi all’Università avendo già in tasca un diploma di scuola media superiore. In famiglia è stato abituato a fare le cose per bene e che avessero un senso. Il calcio era entrato nella sua vita poco dopo il compimento di quattro anni. La sua prima maglia portava i colori dell’Atletico Sucre, piccolo club venezuelano, ben organizzato, la cui prima squadra militava nella serie B di quel paese:
“Dove il calcio – ci spiega – quanto a notorietà è stato sempre secondo al baseball, la disciplina nazionale. Adesso, sembra che le cose stiano cambiando. La nazionale venezuelana è in corsa per la qualificazione mondiale con buone prospettive. Sarebbe la prima volta nella storia e l’eco per il possibile raggiungimento di tale traguardo fa crescere a dismisura l’interesse per la palla a spicchi”.
Nel raccontare, si nota la parte venezuelana che prende il sopravvento. Usa il tono del tifoso che tiene molto alla sua squadra. D’altra parte, conserva la doppia nazionalità. L’italiana è effetto del trasferimento dei nonni, di origini abruzzesi-lucane, nel Paese di Simon Bolivar nei primi anni ’50.
Il periodo d’ambientamento nel calcio italiano, prima tappa Perugia (Paolo Rossi Academy), non è semplice come lo aveva immaginato:
“In Venezuela ma in generale un po’ in tutto il Sudamerica il calcio è prettamente fisico e tecnico. A differenza dell’Italia dove la parte tattica la fa da padrone con tutti i movimenti che questa richiede. Per questo c’è voluto un po’ per adeguarmi”.
Leonardo, nella prima valigia, aveva messo soltanto l’essenziale. Il trascorrere del tempo e magari l’insorgere di qualche nostalgia genitoriale convincono i genitori a trasferirsi, anche loro in Italia. Il papà trova lavoro e la famiglia si stabilisce a Civita Castellana. L’italica burocrazia procura un sensibile ritardo per l’iscrizione a Scienze Motorie. Superato l’ultimo ostacolo eccolo studente ‘con profitto ’ (ora alla Magistrale), per riuscire a conciliare studio e lavoro. Che, nel corso degli anni, dopo Perugia, lo ha visto passare per Assisi, Chieti e arrivare nella città delle Ceramiche. In Abruzzo e a Civita Castellana gioca con continuità nella serie D. Senza farne drammi scende in Eccellenza (Cynthia – Valle del Tevere – FAVL Cimini) prima dell’approdo a Orvieto dove arriva insieme al D.S. attuale Severino Capretti, suo estimatore da sempre. Il Covid rovina i piani suoi e dell’Orvietana:
“Un anno spettacolare. Con mister Fiorucci eravamo a un passo dai play off. Alla vigilia di una partita, quasi decisiva, arrivò la sospensione. Un vero peccato. Però, sono felice aver ritrovato la serie D adesso. Con l’occasione mando un saluto a mister Ciccone che conosco e al quale dobbiamo molto per questo traguardo, come a Proietti, Fapperdue, Sciacca, Boninsegni, Guazzaroni, amici e protagonisti di quell’avventura, alcuni dei quali ritrovati poi al BMG, ultima tappa prima del ritorno, da me graditissimo, a Orvieto”.
Difficile, anzi impossibile, trovare una piazza dove Leonardo Josè non si sia fatto apprezzare quale uomo e giocatore. Fa bene il suo lavoro, altrettanto retto il comportamento in campo e fuori. Anche a Orvieto vanta tanti estimatori. Peccato per l’infortunio che lo ha costretto a saltare diverse partite. Adesso è tornato, pronto a occupare un posto sulle corsie esterne, zone del campo a lui più gradite:
“Sulle fasce ho ricoperto un po’ tutti i ruoli. Difensore, braccetto, centrale in una difesa a tre e qualche allenatore mi ha impiegato anche come interno”.
Se fossi tu a scegliere:
“ Sempre la metà campo offensiva. Mi piace attaccare più che difendere”.
E qui fa di nuovo capolino il Paletta sudamericano, anche se comprende benissimo come la cultura calcistica, almeno italiana, sia più votata a non prenderle. Il periodo di stop è andato oltre la previsione e adesso si ricomincia da dove aveva lasciato:
“I miei compagni hanno fatto molto bene fino a ora. A mio giudizio il gruppo è stato assemblato molto bene, con ragazzi seri e professionali che mettono al primo posto il bene della squadra. Le assenze non hanno mai pesato sul rendimento perché chi scende in campo è sempre pronto a dare il sangue per i compagni”.
Chiaramente ti metti fra questi:
”Certo, quando sarà il mio turno, sia per un minuto che per l’intera partita, darò sempre il cento per cento. Credo che, ognuno di noi, possa dare il suo contributo anche andando in tribuna. Quando sono stato fuori, scherzando con il magazziniere gli ripetevo ‘io sono pagato per fare il bene dell’Orvietana – quindi – se hai bisogno per portare le borracce o altri servizi chiamami pure".
Ma, secondo te che hai giocato parecchio in Eccellenza quale è l’elemento che in serie D fa la differenza:
“La concentrazione! In Eccellenza un calo può non fare la differenza. Guai, invece, perderla anche per un attimo solo in serie D”.
L’intervista è conclusa. Ad attenderlo Manoni e Marchegiani, compagni di squadra in tenuta da pesca. Aiuta a star svegli. Perché: “Chi dorme non piglia pesce”.

Foto di Rebecca Animobono

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